PROPULSIONE SUBLUMINALE: MOTORI A IMPULSO
Stato attuale: tecnologia in uso
I motori a impulso costituiscono la principale forma di propulsione subluminale, essendo in grado di spingere un vascello a considerevole velocità nello spazio normale.
In effetti, la velocità che si può raggiungere con la sola
propulsione ad impulso è così elevata (i vascelli tattici di
ultima generazione come le classi
Sovereign, Prometheus e Defiant,
combinando la propulsione vera e propria con la deformazione gravimetrica
dello spazio possono raggiungere valori prossimi a 0.97c) che le procedure
della Flotta Stellare impongono come limite standard "a pieno impulso"
la velocità di 0.25c.
Anche se è possibile, con gli appositi codici di comando, superare
questo limite, una simile manovra si traduce in una elevata dilatazione temporale
per il personale a bordo del vascello e, una volta diminuita la velocità,
la sincronizzazione dei cronometri di bordo è davvero il minore dei
problemi.
Scoperta su Vulcano poco prima dell'Esodo degli 80.000 che diede inizio alla stirpe Romulana, e scoperta sulla Terra agli inizi del XXI secolo nei laboratori di propulsione spaziale dell'allora Unione Europea, la propulsione ad impulso si basa sul principio fisico della inerzia variabile per spingere un vascello ad alte velocità superando la necessità di consumare ingenti scorte di combustibile.
Infatti, come sulla Terra venne dimostrato già alla fine del XX secolo, per percorrere anche solo pochi anni luce utilizzando i carburanti disponibili all'epoca - effettivamente o anche solo teoricamente - era necessario utilizzare una massa di combustibile che andava da una quantità superiore all'intera massa dell'universo ad una, nella migliore delle ipotesi, di parecchie centinaia di volte la massa del vascello. Anche volendo tralasciare il problema dei lunghissimi tempi di viaggio - che molte culture all'inizio superano utilizzando navi generazionali o navi con dispositivi criogenici - se pensiamo che un vascello di classe Sovereign ha una massa a vuoto di 3.2 milioni di tonnellate cominciamo a capire come la soluzione dell'espulsione di carburante per ottenere una spinta accettabile sia impraticabile.
Come si diceva, agli inizi del XXI secolo due gruppi di lavoro, uno in Nordamerica e uno in Europa, iniziarono a pensare a ipotesi alternative; partendo dall'assunto che se anche fosse possibile recuperare il carburante espulso per via convenzionale questa manovra non produrrebbe spinta in una direzione a causa della legge di conservazione del moto, gli scienziati europei e i loro colleghi nordamericani cominciarono a cercare un modo di "imbrogliare" la fisica, ragionando sul fatto che se l'inerzia del propellente fosse diversa nelle due direzioni del moto (verso di sé e in allontanamento da sé) allora sarebbe possibile realizzare un sistema di propulsione senza espulsione di massa.
La base teorica di questa possibilità risiede nel Principio
di Mach, formulato sul finire del XIX dallo scienziato Ernst Mach: "L'inerzia
di un corpo (cioè la reazione alla forza che si applica ad un corpo
e che viene percepita come resistenza al cambiamento di stato) è causata
dalla interazione causale di questo corpo con tutta la materia dell'universo".
A metà del XX secolo lo scienziato Dennis
Sciama dell'Università di Cambridge cominciò a lavorare
sul Principio di Mach, definendo per via matematica la dimensione fisica dell'inerzia.
Alcuni anni dopo, nell'ultimo decennio del XX secolo, James Woodward della California State University riprese in mano il lavoro di Sciama e riuscì a dimostrare - sempre per via matematica - che grazie al Principio di Mach era possibile cambiare in via transitoria la massa di un oggetto: più propriamente, l'Equazione di Woodward dimostrò che al variare dell'energia di un corpo varia la sua densità, e quindi la sua massa, e che per variare l'energia di un corpo è sufficiente applicare energia a questo corpo. Di più: maggiore è l'energia applicata, maggiore diventa la differenza fra densità a riposo e densità energizzata, e la massa tende a diventare tanto minore quanta più energia viene applicata.
Una volta che gli scienziati europei dell'ARC riuscirono - nel primo decennio del XXI secolo - a dimostrare la praticabilità di questa teoria, la strada per lo spazio era aperta: nel 2018 la propulsione ad impulso venne definitivamente adottata dalle potenze spaziali dell'epoca, dando l'avvio all'astronautica moderna sulla Terra.
Concettualmente i motori ad impulso utilizzati dalla Flotta Stellare e dalle civiltà note non si discostano da questo principio: sono cambiati i materiali, sono aumentate a dismisura le energie in gioco, ma la base teorica è ancora quella.
I motori ad impulso di una nave stellare si basano su 4 sottosistemi: generazione di energia, trasporto del plasma energizzato, bobine di spinta e scarichi vettorizzati.
Poiché le bobine di spinta necessitano di energia, ad ogni motore
ad impulso sono accoppiati alcuni reattori a fusione di deuterio dedicati.
In realtà l'energia di spinta può provenire anche dal nucleo
a curvatura, ma si tende ad evitare questo utilizzo per varie ragioni, non
ultimo il fatto che gli ingegneri sfruttano il periodo di tempo in cui la
nave procede ad impulso per spegnere il nucleo a curvatura ed eseguire le
relative operazioni di manutenzione.
Una volta che la fusione di deuterio ha prodotto plasma ad alta energia questo,
attraverso gli appositi condotti, viene inviato alle bobine di spinta che
costituiscono il motore vero e proprio.
Ogni motore è costituito da sei bobine toroidali, divise a metà
lungo l'asse orizzontale, composte da una fusione di cortenide
di verterio 934 (lo stesso materiale delle bobine a curvatura). Attraversate
dall'energia del plasma emesso dai reattori, le bobine hanno l'effetto di
ridurre la massa della nave e, nel contempo, di generare un campo di spinta.
Il plasma, a questo punto della reazione quasi privo di energia residua, viene
quindi incanalato verso l'esterno della nave attraverso gli scarichi vettorizzati.
In realtà il plasma scaricato contribuisce molto poco alla effettiva
propulsione della nave, ma viene comunque vettorizzato (cioè direzionato)
per impedire che imprima al vascello un movimento differente rispetto all'asse
di volo.