SISTEMI INFORMATICI 1
Introduzione storica e chip optronico
Sulla Terra, la tecnologia informatica cominciò a svilupparsi nel XIX secolo, con le prime macchine in grado di eseguire limitati calcoli aritmetici.
Successivamente, sotto lo stimolo della ricerca militare avvenuto nel corso
della II Guerra Mondiale, le principali potenze dellepoca cominciarono
a sviluppare sistemi basati sulluso di valvole e cavi elettrici (ENIAC
e sistemi analoghi). Questo passaggio decretò labbandono degli
elaboratori meccanici e avviò la fase degli elaboratori elettronici:
a partire da quel momento lo sforzo dei ricercatori si concentrò sulla
progressiva miniaturizzazione dei componenti, che comportava un aumento delle
capacità di calcolo a parità di dimensioni.
Negli anni 90 del XX secolo avvenne lesplosione dellinformatica
fra il grande pubblico, merito principalmente della Chronowerx di Henry Starling
(circuito isogrado, 1969; HyperPro Pc, 1996).
Fu in questo periodo che il ricercatore americano Gordon Moore elaborò
la famosa Legge di Moore, che recitava: La potenza di calcolo di un
elaboratore, a parità di dimensioni, raddoppia ogni 18 mesi.
È interessante notare che gli unici programmi che, allepoca, fossero in grado di sfruttare appieno la sempre maggiore potenza di calcolo dei sistemi erano i cosiddetti videogiochi, primordiali forme di intrattenimento virtuale utilizzate dagli adolescenti come passatempo. È proprio dalla necessità di fornire stimoli sempre più realistici ai propri giocatori che un consorzio di produttori giapponesi sviluppò, negli anni 10 del XXI secolo, i primi sistemi funzionanti di generazione di gravità artificiale. È sempre da questi primi passi nella realtà virtuale che nacquero, secoli dopo, gli ambienti a immersione olografica.
Nel primo decennio del XXI secolo, la potenza effettiva dei chip a base silicio
raggiunse il limite teorico: infatti, tanto maggiore era la miniaturizzazione,
tanto minore era la distanza da percorrere per il segnale elettrico e tanto
maggiore era quindi la velocità di flusso dei dati.
Arrivati al limite di 8 micron di distanza fra le piste, però, la crescita
si arrestò, sia per problemi di dissipazione di calore sia per il fenomeno
noto come salto elettronico, per cui se le piste sono troppo vicine
gli elettroni tendono a saltare da una pista allaltra, rendendo illeggibile
il segnale trasmesso e, di fatto, bloccando lesecuzione di qualsiasi
programma.
La soluzione al problema dei chip al silicio fu trovata nei chip ottici di prima generazione, detti chip Optronici perché, almeno nelle prime versioni, combinavano lottica e lelettronica tradizionale. Il nome rimase poi a designare lintera classe di processori, nonostante il progressivo abbandono di ogni componente elettronica non essenziale.
I chi optronici sfruttavano la capacità della luce di trasportare informazioni in maniera più efficiente e sicura rispetto al semplice flusso elettronico: infatti, oltre a trasmettere un segnale in codice n-decimale (invece che binario, presente o assente) non soffrivano del problema del surriscaldamento in base alluso, operando ad una temperatura costante.
La ricerca, volta ad aumentare le frequenze contemporanee di trasmissione (da 2 a 4, 8, 16 diversi livelli di luminosità, eccetera) fu interrotta dallo scoppio della III Guerra Mondiale; riprese solo molti anni dopo, come parte del progetto Curvatura 5.
↑Chip duotronico
Nel 2243 lo scienziato Richard Daystrom vinse i premi Nobel e Zee Magnes per la fisica, grazie al suo sviluppo teorico e pratico del chip ottico duotronico: miscelando due differenti frequenze luminose, per esempio rosso e blu, la potenza di calcolo di un elaboratore, a parità di numero di componenti, aumentava del quadrato rispetto a quello di un sistema che utilizzasse chip ottici optronici tradizionali, basati cioè su una singola frequenza luminosa.
Nei successivi ventanni, i chip duotronici divennero lo standard informatico sulle navi più avanzate della Flotta Stellare, compresi i formidabili incrociatori della Classe Constitution.
↑Chip multitronico
Negli anni successivi allinvenzione della duotronica, Richard Daystrom spinto soprattutto dal desiderio di replicare i successi della sua gioventù si dedicò allo sviluppo della multitronica che, nelle sue intenzioni, doveva rappresentare un salto qualitativo tale da oscurare il passaggio dalla monotronica alla duotronica.
Nelle intenzioni di Richard Daystrom, un sistema multitronico sarebbe stato in grado di utilizzare un numero potenzialmente infinito di frequenze luminose, elevando quindi allennesima potenza a parità di componenti installate la capacità di calcolo dei computer della Federazione.
Benché i primi quattro tentativi da M1 a M4 fossero falliti, il sistema M5 fu costruito imprimendo engrammi neurali umani nei circuiti di elaborazione: secondo il suo ideatore, questo avrebbe dotato il computer di capacità di pensiero e ragionamento simili a quelli di un essere umano, grazie alla capacità multitronica di fornire un numero di connessioni pari a quelle di un cervello vivente.
M5 sembrò abbastanza stabile e promettente da convincere la Flotta Stellare a testarlo in una simulazione sul campo che si concluse con la tragica distruzione delle navi USS Excalibur e USS Lexington (di classe Constitution) e con la perdita dei loro equipaggi.
Anche se l Esperimento M5 si rivelò un disastro, le idee alla base della teoria multitronica spinsero la Flotta Stellare a creare lIstituto Daystrom di Robotica le cui ricerche, anni dopo, portarono alla formulazione della Teoria Positronica e alla creazione del primo automa totalmente autocosciente da parte del Dottor Soong.