LCARS - ARCHIVIO 2014
CIÒ CHE AVRESTE VOLUTO SAPERE SUGLI AGN E NON VI È MAI VENUTO IN MENTE DI CHIEDERE
Corre l'anno 2287 quando Sybok, fratellastro di Spock, prende il comando dell'Enterprise e parte per la sua gita al centro della Galassia. Il suo scopo è niente di meno ambizioso che andare letteralmente a far visita a Dio.
Nel suo viaggio incontra la Grande Barriera, il muro energetico che racchiude il cuore della Galassia, e giunge infine a Shakaree, il pianeta (o sasso polveroso sarebbe forse una descrizione più calzante) dove trova finalmente ciò che stava cercando (se si tralascia l'insignificante particolare che la presenza che Kirk & Co. incontrano sul pianeta ha a che vedere con Dio quanto un Vulcaniano con una grassa risata).
Se ora a qualcuno di noi venisse la brillante idea di seguire le orme del buon Sybok e di andare a cercare Dio al centro della Galassia (o anche solo di fare una gita diversa dal solito in un luogo dove trovare parcheggio non sia un incubo), quello che ci troveremmo di fronte sarebbe ben diverso dal sasso deserto che lui chiamò Shakaree.
Ma facciamo un passo indietro.
Tutti sappiamo che la velocità della luce (c ∼300.000 Km/s) rappresenta, secondo il noto postulato di Einstein, un limite invalicabile (anche se la curvatura aggirerebbe questo problema con un abile maneggio). Per quanto grande, però, la velocità della luce resta comunque un valore finito. L'ovvia conseguenza è che la luce che ci arriva da un qualunque oggetto celeste (e che costituisce l'unica informazione che noi possiamo avere su quell'oggetto) ha impiegato del tempo per percorrere lo spazio che ci separa da esso.
Per fare un piccolo esempio, la stella più vicina alla Terra, a parte il Sole, è Proxima Centauri, che brilla a circa quattro anni luce di distanza da noi. La luce che vediamo osservando questa stella è stata perciò emessa quattro anni fa e ha poi attraversato lo spazio siderale per arrivare fino a noi. A tutti gli effetti, quando guardiamo Proxima Centauri la vediamo come appariva quattro anni fa e non come è oggi. Lo stesso discorso vale per il Sole, anche se la distanza che ci separa è molto più esigua e la luce riesce a coprirla in soli otto minuti circa. Il sole potrebbe essere esploso qualche istante fa, voi non lo sapreste ancora e l'ultimo atto della vostra vita prima di venire vaporizzati sarebbe leggere questo articolo. Che fortuna, eh?
Guardando il cielo, perciò, non guardiamo soltanto lontano nello spazio, ma anche e soprattutto indietro nel tempo. Ne consegue che più un oggetto è lontano da noi, più assume un alto valore in termini di ricerca cosmologica. Con l'aumentare delle capacità tecnologiche, il nostro sguardo riesce a spingersi sempre più lontano fino a vedere oggetti estremamente luminosi ed antichi.
Inizialmente, alcuni di questi oggetti vennero scambiati per stelle, poiché apparivano come luminosissimi corpi puntiformi. Ci volle parecchio tempo per capire che quei puntini non erano affatto stelle ma nuclei di galassie, tanto luminosi e lontani che la struttura della galassia stessa risultava invisibile, oscurata completamente dall'oggetto centrale.
Si trattava di una scoperta dalla notevole importanza, poiché le galassie rappresentano, a livello cosmologico, gli oggetti celesti più significativi per molti motivi, primo fra tutti la loro età. Si cominciò perciò ad indagare a fondo su questi nuclei galattici attivi o AGN, come vennero poi chiamati, nonostante le enormi difficoltà dovute alla grande distanza.
Si scoprì in primo luogo che questi nuclei presentavano un certo numero di interessanti caratteristiche variabili.
Dapprima vennero classificati in funzione della loro magnitudine, un valore che in astrofisica indica la luminosità di un oggetto celeste.
Gli oggetti meno luminosi vennero definiti Galassie di Seyfert, mentre quelli caratterizzati da un valore di magnitudine superiore vennero denominati QSO (Quasi Stellar Objects, in virtù del loro aspetto puntiforme).
Inoltre, se le emissioni avvengono nella banda radio, le Galassie di Seyfert vengono denominate semplicemente Radio Galassie, mentre i QSO prendono il nome di QUASAR (Quasi Stellar Radio Source), arcinoti, almeno di nome, a chiunque mastichi un po' di fantascienza.
Una seconda classificazione prende invece in considerazione il tipo di spettro ed in particolare la larghezza delle righe che vi compaiono.
Lo spettro di un qualunque oggetto che emetta radiazione elettromagnetica indica la diversa intensità della radiazione stessa nelle varie lunghezze d'onda. Lo spettro può presentare, ed è il caso degli oggetti celesti, delle righe, ovvero picchi di emissione dovuti a processi che avvengono all'interno dei nuclei atomici. Se, per esempio, all'interno di un nucleo di idrogeno un elettrone salta da un livello energetico superiore ad uno inferiore (avvenimento che può verificarsi per vari motivi), si ha l'emissione di un fotone. Questo processo è visibile all'interno dello spettro come una riga che compare ad una frequenza specifica, determinata dalle caratteristiche dell'atomo e dai livelli energetici coinvolti.
Dalle righe che caratterizzano uno spettro è possibile risalire, in alcuni casi, ai processi che ne hanno provocato l'emissione e determinato successivamente la forma.
Gas caldo e in rapido movimento, ad esempio, provoca un allargamento delle righe dello spettro proporzionale alla temperatura. Anche il movimento delle galassie che sia allontano da noi provoca, a causa dell'effetto Doppler, un cambiamento nella larghezza delle righe.
Gli AGN vennero perciò classificati anche in funzione del tipo di righe che il loro spettro esibiva. In certa misura anche il tipo di galassia che ospita l'AGN è un elemento determinante per la forma dello spettro, ma la differenziazione più interessante è data in questo caso dal fatto che alcuni oggetti mostrano un allargamento di parte delle righe di emissione ed altri no.
Basandosi su luminosità e spettro come criteri di classificazione per gli AGN, si cominciò a cercare questi oggetti anche nelle galassie a noi più vicine, il che poneva un primo problema fondamentale. Come si identifica un AGN?
Il dilemma fu risolto grazie agli spettri e all'identificazione di due specifiche righe, il cui rapporto è un indicatore preciso di attività del nucleo. è sufficiente rintracciare queste due righe, relative a idrogeno e azoto molecolare, e calcolare il rapporto dell'intensità (banalmente delle loro altezze) per essere in grado di determinare dallo spettro se uno nucleo galattico è attivo o no.
Con tanti e più vicini oggetti di studio, seguì subito il problema di giustificare in qualche modo l'altissima emissione di energia che caratterizza gli AGN. Nessuno dei metodi di produzione di energia conosciuti, compresa la fusione nucleare che alimenta le stelle, sembrava essere adeguato allo scopo. Alcuni nuclei a bassa emissione furono associati a zone ad alta formazione stellare, ma anche questo processo non poteva giustificare l'altissima emissione di energia negli AGN più luminosi. Si arrivò persino ad ipotizzare che il motore energetico dei nuclei fosse costituito da esplosioni di supernova. Tuttavia, secondo i calcoli, per generare una tale energia sarebbe necessaria l'esplosione contemporanea di un miliardo di supernovae in una ristrettissima zona di spazio, così l'ipotesi fu presto scartata.
La risposta arrivò infine con il cosiddetto Modello Unificato, secondo cui l'unica possibile fonte in grado di generare una quantità tanto alta di energia sarebbe un buco nero supermassivo.
I buchi neri, oggetti densissimi e in grado di esercitare un'attrazione gravitazionale tale che nemmeno la luce può sfuggire, possono essere classificati in tre categorie fondamentali:
- i relitti stellari, nati dal collasso di stelle di massa pari ad almeno 80 volte quella del sole;
- buchi neri primordiali, di piccolissime dimensioni e originati da fluttuazioni quantistiche nell'universo primordiale (nonché oggetto di studio prediletto di T'Pol);
- buchi neri supermassivi, posti, secondo il Modello Unificato, al centro delle galassie;
Ora, un buco nero in sé non emette alcuna energia (anche se recenti studi hanno provocato un riaccendersi della discussione in merito). Tuttavia, la materia che vi cade dentro viene accelerata man mano che si avvicina all'ultima orbita stabile, il cosiddetto Orizzonte degli Eventi ovvero il confine ideale (non fisico) del buco nero, e, venendo accelerata, emette radiazione.
Considerando le dimensioni ipotizzate per un buco nero galattico (pochi milioni di masse solari), l'energia liberata sarebbe in quantità compatibile con quella associata ad un AGN.
Andando un poco più nel dettaglio il Modello Unificato prevede una struttura formata principalmente da 4 componenti:
- Un motore centrale, ovvero un buco nero supermassivo circondato dal suo disco di accrescimento costituito dalla materia che vi cade dentro; se il buco nero è in rotazione potrebbero essere presenti, in corrispondenza dei due poli, anche dei getti di elettroni accelerati a velocità prossime a c.
- Un anello di gas caldo in rapido movimento che circonda il motore centrale.
- Un toroide (una sorta di ciambella) composto da polveri.
- Un secondo anello esterno di gas a temperatura e velocità di rotazione inferiori.
L'importanza fondamentale di questo modello, oltre a rendere chiara la struttura di un nucleo galattico attivo, risiede nel fatto che molte delle differenziazioni e dei problemi riguardanti gli AGN si ridurrebbero, in definitiva, ad una questione di prospettiva.
Poniamo di osservare un nucleo galattico dall'alto. Le particelle accelerate che formano i getti verrebbero sparate direttamente nella nostra direzione, causando l'illusione di un moto superluminale (fatto altrimenti inspiegabile che a suo tempo causò successive ondate di panico negli ambienti scientifici; ebbene sì, tranquilli, il postulato di Einstein è salvo anche a questo giro). Inoltre osservandolo dall'alto potremmo vedere agevolmente entrambi gli anelli di gas, ottenendo nel nostro spettro sia le righe generate dal gas freddo che quelle allargate generate dal gas caldo. Righe che invece sparirebbero se osservassimo l'AGN lateralmente, poiché il toroide di polveri oscurerebbe la visuale dell'anello di gas caldo interno.
Le prove a favore di questo modello sono molteplici. La più eclatante viene però proprio dal centro della nostra galassia, dove studi sulla dinamica stellare sembrano avallare la presenza di un oggetto oscuro di grandi dimensioni.
Durante la vostra gita al centro della galassia non trovereste perciò né la Grande Barriera né Shakaree, ma un buco nero supermassivo ormai non più in attività. Un nucleo galattico fossile, eco di un'epoca in cui probabilmente anche la Via Lattea brillava come le galassie lontane di cui si osservano gli AGN.
Niente paura, la galassia non sta per caderci dentro.
Ma attenzione a non sporgervi troppo mentre prendete qualche scatto.
Miranda Daugherty-Bhrel